Ero troppo tentato dall’idea di scrivere anch’io un post sull’arte di sbagliare, quindi perché trattenere questa voglia? Facendo una breve ricerca in rete si incontrano dei dati molto scoraggianti per quanto riguarda le start up: oltre il 90% non superano i 3 anni di vita. Le cause ed i motivi sono diversi e già abbondantemente trattati da altri esperti: si parte dalla mancanza di un modello di business ben definito, passando per una scarsa conoscenza del mercato, alla incapacità imprenditoriale fino a raggiungere l’ovvietà, quindi se una idea ha fallito è perché non era buona come si pensava. E via al processo alle intenzioni e la ricerca di tutte le possibili soluzioni.
Ragioniamo un istante e facciamo delle ipotesi e cerchiamo di approcciare in modo razionale.
Ipotesi N.1. Ho una idea per la quale ho applicato tutte le accortezze necessarie per la sua realizzazione: dallo studio di un modello di business allo sviluppo di un business plan, analizzando il mercato e facendo tutte le valutazioni necessarie.
Ipotesi N.2. La mia start-up ha un alto fattore di rischio.
A questo punto il bivio è provarci o mollare. Realizzeremo un “epic fail” o saremo disruptive ed otterremo un “epic win”? Siamo di fronte al paradosso del gatto di Schrödinger e se non apriamo la scatola, se non ci proviamo, non sapremo mai se questo è vivo o morto, ossia se avremo un successo o un fallimento. Vorrei utilizzare il paradosso per dimostrare che la strada da percorrere è la stessa in entrambi i casi. Tutto dipenderà da come sarà costruita la scatola: se sarà perfetta e senza ricambio di aria con l’esterno avremo poca percentuale di sopravvivenza, se sarà ampia e con imperfezioni tali da permeare aria avremo alte percentuali di sopravvivenza. Qui sta il punto cruciale: l’imperfezione.
Una buona idea deve essere imperfetta, deve permettere errori e rimedi. Gli errori ci inducono a trovare gli stimoli per individuare ulteriori migliorie. La cultura del “buono al primo colpo” è deleteria perché non insegna. Fare le cose bene al primo colpo è fortuna e riconduce alla semplice arte di fare senza pensare. Ecco una prima cosa che si impara sbagliando: pensare.
Poi c’è un secondo insegnamento che chi ha praticato sport sa benissimo: quando si cade la prima cosa da fare è rialzarsi e riprendere il gioco. Cadere inciampando o cadere per colpa di un avversario è normale. Non è normale rimanere a terra, quindi è necessario rialzarsi. Quindi, l’imperfezione iniziale che ci ha fatto inciampare determina anche la seconda cosa che si impara: reagire.
Pensare e reagire, analizzare il problema e trovare una soluzione. Reiterare il processo porta a limare le imperfezioni, accrescendo di volta in volta la bontà della propria idea iniziale. Ecco perché le idee imperfette sono le migliori. Possono adattarsi continuamente al contesto, essere analizzate, rivalutate e migliorate. D’altronde se fosse stato tutto perfetto, non avremmo potuto migliorare ed alla prima difficoltà avremmo dovuto abbandonare.
Abbiamo individuato un altro fattore di fallimento delle start-up: la presunzione di volere essere perfetti. La presunzione porta a chiudersi verso l’esterno e impedisce di guardare cosa fanno gli altri. Un aiuto dall’esterno, nello specifico di un consulente, potrebbe essere rivelatore e portarci a vedere cose che dall’interno non si percepiscono. Mettere da parte l’orgoglio e usare una buona dose di umiltà e spirito critico sono fattori necessari per capire l’evoluzione del contesto e sopravvivere.